Carissimi ragazze e ragazzi,

sono passati quasi sette mesi da quando il nostro cammino insieme si è interrotto bruscamente. Sette mesi in cui si sono avvicendate in noi tante sensazioni: incredulità, paura, angoscia, speranza, incertezza.

Di questi mesi ognuno di noi porta nel cuore delle immagini.
Ne ricordiamo tre, che fanno ormai parte di un album collettivo:

la prima, con la infermiera esausta da lavoro senza tregua

la seconda, con i camion militari che trasportano bare

e la terza, il Papa da solo in piazza San Pietro.

Sono tre immagini che ci fa male rivedere, ma che non dobbiamo dimenticare, perché tutto il dolore che abbiamo visto e vissuto non sia passato invano.

Ci siamo resi conto che quando manca il quotidiano, la normalità, siamo spersi. Ma nello stesso tempo dovremmo chiederci quanto la normalità – che ci è mancata così tanto – sia in realtà un problema.

È un problema lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, ma è anche un problema un modo di vivere dove l’interesse personale è il parametro con cui giudicare la realtà.

I miei desideri, i miei bisogni, i miei problemi.

La pandemia ci ha invece sbattuto in faccia che – come ha detto il Papa – “siamo davvero tutti sulla stessa barca”. Che i miei comportamenti ricadono sugli altri e sull’ambiente, che prendersi cura di chi è in difficoltà, e condividere, non solo rende la società migliore, ma rende noi stessi più consapevoli, partecipi e felici.

Questa consapevolezza può esserci di aiuto ora, che finalmente con la riapertura della scuola vediamo ancora più vicino il ritorno alla nostra normalità. Si può pensare che tutto sia esattamente come prima. Che il temporale sia passato. Ci piace pensarlo, ma sappiamo che … non è così.

Non è così: la scuola vi ha accolti con tanti piccoli cambiamenti, tante norme, divieti, preoccupazioni.

Potrebbe allora venire da demoralizzarci, ma questo è il tempo che siamo chiamati a vivere: questo è il nostro tempo. Non altro.

Potremmo allora lamentarci: dire che le regole che ci vengono imposte sono troppe e stringenti.

Tener conto di quello che la pandemia ci ha insegnato, allora vuol dire allargare lo sguardo, e di fronte alle nostre fatiche ricordare che, a poche migliaia di km da noi, ci sono studenti per cui la scuola è talmente importante da rischiare la vita per andarci; studenti che vivono la scuola in contesti per noi inimmaginabili.

Forse le “limitazioni” che stiamo vivendo ci opprimono: ma le immagini delle bare sui camion militari dovrebbero obbligarci a chiederci “perché” o “per chi” vivere queste limitazioni. E rendere forte la consapevolezza che la mia fatica diventa salvavita per qualcuno. Credo che allora non ci penseremo due volte.

E no. Non basta dire che “a noi non succede” … È il momento della responsabilità: del ricordarsi che se venire a scuola è un nostro diritto, però vivere da cittadini responsabili è un nostro dovere, che il mio modo di vivere e di comportarmi può fare e fa la differenza.

Questa consapevolezza può e deve diventare serenità: senza giocare sull’altalena che porta dall’estremo del minimizzare o negare all’altro estremo del vivere in preda all’ansia.

L’altro ieri abbiamo visto innalzarsi questa mongolfiera, e ci è sembrata la scuola che inizia oggi: è partita certo con fatica, ci è voluta tanta energia; talvolta era spinta dal vento fuori dalla traiettoria, ma dominata da chi la guidava: e sopra questa mongolfiera, ecco, sopra, ci siamo tutti.

Tutti insieme: docenti e studenti a manovrare i bruciatori ed interpretare le correnti, adattandosi ad esse, ma anche sfruttandole per raggiungere la meta.

Ma se la sapremo guidare con sicurezza, allora raggiungeremo altezze da cui potremo osservare spettacoli inimmaginabili.

Questa è la nostra Speranza.

Carissimi ragazzi, la scuola a distanza non è stata scuola. È stata didattica.

Ci siamo accorti tutti di quanto sia stato diverso, incredibilmente diverso.

Perché la scuola è anzitutto relazione: è la relazione si vive in presenza, non attraverso gli schermi.

A scuola si impara con gli altri. Si vive con gli altri.

Si impara a crescere, a giocare, ad ascoltare, a condividere, a rispettare, ad aiutare.

Siamo sicuri che a tutti voi sia mancata la scuola, anche se non lo confesserete mai… ma possiamo dire con assoluta certezza, che a noi, siete mancati voi.

Che siamo contenti, contentissimi di riavervi qui, a riempire le aule e i cortili.

E non ci vergogniamo a dirvelo.

Perché, parafrasando don Bosco: è proprio la nostra vita stare con voi”

Bentornati, vi stavamo aspettando!

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